IL COMMISSARIO AGLI USI CIVICI Ha pronunciato la seguente ordinanza, a scioglimento della riserva implicitamente presa all'udienza del 28 febbraio 1995, nella causa demaniale avente per oggetto: opposizione a liquidazione amministrativa di usi civici sulle terre private, site nel comune di Sutri e censite in catasto al f. 7, part. 526-560-786 di ha 1.12.70, pendente tra Trasatti Maria, Trasatti Elio e Trasatti Ennio residenti in Roma, via Emma Carelli, 73, autorizzati a stare in giudizio di persona e rappresentati dal dott. agr. Giorgio Colli di Roma; domicilio legale: la segreteria del commissariato; procura alle liti: nessuna, contro il comune di Sutri, casa comunale; difensore: nessuno; il comune e' rimasto contumace. M O T I V A Z I O N E 1. - Con ricorso depositato in questa segreteria il 5 ottobre 1993, Trasatti Maria, Trasatti Elio e Trasatti Ennio si opponevano contro la proposta di liquidazione degli usi civici gravanti su un terreno di loro proprieta', sito in comune di Sutri, loc. S. Benedetto, e contraddistinto al n.c.t. al f. 7, part. 526, 560 e 786, di ha 1.12.70. La perizia, redatta su incarico della regione Lazio, dal geom. Guerrino Randolfi, era stata pubblicata all'albo pretorio di Sutri dal 15 settembre 1993 al 15 ottobre 1993; notizia dell'avvenuto deposito era stato comunicata dal sindaco ai signori Trasatti con raccomandata, notificatagli dal messo di conciliazione il 17 settembre 1993. Nel loro ricorso, i signori Trasatti sostengono, con varie argomentazioni, che: a) non si hanno elementi certi circa l'esistenza dell'uso civico; b) il capitale di affranco non puo' superare L. 1.264.450. Sulla base del ricorso in esame, con decreto 31 marzo 1994 il sottoscritto commissario ordinava la comparizione personale delle parti per l'udienza del 25 giugno 1994; ricorso e decreto erano notificati a cura dell'ufficio commissariale al sindaco di Sutri, con raccomandata n. 18 del 25 giugno 1994, ma il comune convenuto restava contumace. In corso di giudizio, all'udienza del 21 ottobre 1994, veniva disposta consulenza tecnica sul terreno dei ricorrenti, sia al fine di accertare se esso sia gravato da usi civici e quali, che al fine di stimare il valore degli usi da liquidare. Il perito incaricato, geom. Angelo Benedetti, depositava la propria relazione il 18 febbraio 1995; all'udienza del 28 febbraio, i ricorrenti depositavano peraltro copia della delibera di Giunta regionale n. 6091 del 5 agosto 1994, che aveva reso esecutivo il progetto Randolfi, statuendo l'affrancazione del diritto civico di pascolo e imponendo loro un canone annuo di L. 570.000, pari ad un capitale di affranco di L. 11.400.000. Alla medesima udienza, sempre nella contumacia del comune di Sutri, il commissario invitava i ricorrenti a prendere le proprie conclusioni e tratteneva la controversia in decisione. 2. - La vicenda processuale e il parallelo procedimento di competenza regionale, concluso con la citata delibera n. 6091/1994 della giunta regionale del Lazio, si prestano o varie considerazioni, sia di rito che di merito, anche di rilievo costituzionale. 2.1. - Una prima considerazione riguarda proprio il rapporto e l'articolazione reciproca delle due procedure, aventi entrambe per oggetto la liquidazione di usi civici gravanti sul medesimo terreno, l'una pendente davanti alla regione territorialmente competente, l'altra pendente davanti al commissario agli usi civici, in qualita' di giudice demaniale. Nello schema originario della legge 16 giugno 1927, n. 1766, il commissario, quale organo titolare insieme dei poteri amministrativi e dei poteri giudiziari, poteva regolarne l'esercizio in modo da evitare sovrapposizioni e conflitti. In pratica, egli promuoveva d'ufficio, in sede amministrativa, il procedimento per la liquidazione dei diritti civici relativi ad un intero comune o ad un intero comprensorio, a tale scopo incaricando un istruttore per la formazione di un adeguato progetto. Il progetto, contenente sia le informazioni di carattere storico sugli usi civici da liquidare, sia le proposte per lo loro liquidazione in natura o in denaro, veniva depositato presso la segreteria del comune o dell'associazione agraria territorialmente competenti; dell'avvenuto deposito, il comune o l'associazione davano poi avviso a ciascun interessato, mediante bando da affiggersi all'albo pretorio, sia mediante biglietto in carta libera, da notificare personalmente. Fin dal deposito in segreteria, gli interessati avevano diritto di prendere visione del progetto di liquidazione; i privati nel possesso delle terre potevano inoltre presentare opposizione al commissario entro trenta giorni da quello dell'avvenuta notifica (art. 15 del r.d. 26 febbraio 1928, n. 332). Il procedimento seguito nel caso di specie si adeguava perfettamente, fino a questo punto, allo schema normativo; da notare, in particolare, che i signori Trasatti hanno presentato il proprio ricorso direttamente al commissario, ventotto giorni dopo che era stato loro notificato l'avviso di deposito della relazione peritale; che, dunque, la presente azione giudiziaria appare perfettamente legittima e procedibile. Ma l'azione giudiziaria in opposizione, promossa dai Trasatti, non ha determinato il suo effetto normale, cioe' la sospensione del procedimento amministrativo opposto; questo ha invece proseguito il proprio corso fino alla conclusione, cioe' fino alla delibera con la quale il progetto di liquidazione dei diritti civici e' stata accolta dalla giunta regionale Lazio e gli usi stessi dichiarati estinti mediante corresponsione di un canone in denaro. E' da avvertire che in nessun luogo della legge fondamentale o del relativo regolamento si rinviene una disposizione, che esplicitamente sancisca l'obbligo di sospendere le operazioni amministrative prima della decisione giudiziaria destinata a concludere la controversia promossa dall'interessato davanti al commissario agli usi civici; tale obbligo deriva peraltro pacificamente dalla natura stessa della giurisdizione commissariale, quale e' disegnata dal legislatore del 1927 e quale, in mezzo a molte deroghe, si e' sostanzialmente mantenuta fino al 1977. Trattasi di giurisdizione prevalentemente incidentale, cioe' accessoria e subalterna alle operazioni amministrative cui il commissario doveva primieramente sovrintendere; di una giurisdizione, in altri termini, destinata a risolvere "tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento di quelle operazioni" (cfr. art. 29, comma secondo, della legge n. 1766/1927), per consentire loro di proseguire e di raggiungere il proprio termine su basi di certezza e di indefettibilita', quali solo un giudicato puo' garantire. E' dunque vero che in nessun luogo e' prescritta la sospensione delle operazioni amministrative, ma e' anche vero che la stessa natura incidentale della giurisdizione commissariale e la rafforzata effettivita' delle decisioni che la esprimono (parallela alla naturale immediata efficacia dei provvedimenti amministrativi; cfr. tutto l'art. 32 della legge fondamentale) mostrano come la sospensione delle operazioni amministrative doveva essere, secondo il legislatore del 1927, nell'ordine delle cose. Essa era in ogni caso garantita dall'unicita' dell'organo deputato a procedere; quello stesso commissario, che procedeva in via amministrativa, era anche, infatti, il giudice delle controversie sorte nel corso di quel procedimento e, quando avesse ravvisato una loro intrinseca pregiudizialita', non avrebbe certo avviato questo a conclusione, senza prima decidere quelle con sentenza. Il trasferimento dei poteri amministrativi alle regioni ha sconvolto questo schema, non gia' perche' astrattamente non sia ancor oggi ipotizzabile la sospensione, obbligatoria o volontaria, del procedimento amministrativo di competenza regionale, in pendenza, davanti al commissario, di un procedimento giurisdizionale, avente ad oggetto questioni pregiudiziali, bensi', perche' si e' spezzata l'unicita' dell'organo procedente e non e' stata introdotta alcuna norma atta a garantire il passaggio delle necessarie informazioni da un organo all'altro. Il caso di specie, da questo punto di vista, e' assolutamente esemplare; dopo la pubblicazione del progetto di liquidazione redatto dal geom. Guerrino Randolfi per incarico dell'amministrazione regionale, i signori Trasatti indirizzavano il loro ricorso in opposizione al commissariato agli usi civici e lo depositavano in questa segreteria nei termini previsti dalla legge, senza darne notizia alcuna alla amministrazione procedente; nessuna notizia ufficiale ne era data neppure dal commissario, perche' nessuna disposizione di legge o di regolamento la impone o la prescrive. Traccia della conseguente disinformazione e' proprio nella delibera regionale che il 5 agosto 1994 provvedera' alla liquidazione degli usi civici secondo la proposta del Randolfi; in essa si legge che avverso al progetto di liquidazione dell'uso civico non sono state presentate opposizioni, mentre il presente procedimento prova esattamente il contrario. Ben puo' immaginarsi che questo o quel funzionario regionale abbia avuto del ricorso notizia ufficiosa, ben puo' immaginarsi che la stessa amministrazione regionale sarebbe andata avanti per la sua strada anche se ne avesse avuto conoscenza ufficiale; ma si tratta per l'appunto di immaginazioni senza fondamento e senza conseguenze. E' un fatto che oggi, nel sistema residuato dalle trasformazioni e modificazioni della legge 16 giugno 1927 n. 1766, non esiste alcuna disposizione atta ad evitare la pendenza, contemporanea e parallela, di due distinti procedimenti, aventi carattere, l'uno, amministrativo, l'altro, giurisdizionale, destinati a sfociare in due distinte (e potenzialmente contraddittorie) decisioni sul medesimo oggetto e tra le medesime parti. 2.2. - Cio' che e' possibile in fatto non e' necessariamente legittimo alla luce dei principi costituzionali; questa inattesa concorrenzialita', che finisce per opporre l'iniziativa amministrativa a quella giurisdizionale, caratterizzando la prima in termini di assoluta discrezionalita' e revocando ad ogni passo in dubbio la certezza e la definitivita' della seconda, potrebbe essere prospettata, infatti, almeno in termini di conflitto con i principi di imparzialita' e di correttezza dell'azione amministrativa (art. 97 della Costituzione). Pare, tuttavia, allo scrivente commissario che, o prescindere dalla illegittimita' costituzionale della normativa procedimentale, nella parte in cui consente - o non previene - il formarsi contemporaneo, in sede amministrativa e in sede giudiziaria, di due decisioni contraddittorie sul medesimo oggetto, il rilevato conflitto possa essere, almeno nel caso di specie, risolto, senza impegnare la Corte delle leggi in un riesame, che ha la sua sede propria in Parlamento. Sembra, in altri termini, che il giudice demaniale, in quanto pervenga alla sua decisione dopo quella amministrativa, possa esaminare questa nel merito e disapplicarla, riaffermando il diritto soggettivo violato, ove essa sia affetta da un qualche vizio rilevante; rimanendo da esso vincolato e dovendo pertanto riconoscere cessata la materia del contendere, quando trovi quella delibera immune da ogni vizio di legittimita'. 2.3. - Anche questo diverso e piu' economico percorso non consente tuttavia di evitare una nuova, e maggiore, questione di legittimita' costituzionale, che attiene questa volta non al rito, ma al merito della controversia, promossa dai Trasatti, e che spiega, meglio delle considerazioni formali fin qui svolte, le ragioni sostanziali del rilevato conflitto di attribuzioni tra commissariato e regione. Come e' noto, la legge 16 giugno 1927, n. 1766, in alternativa alla liquidazione per scorporo o divisione delle terre gravate (artt. 5 e 6 legge cit.), consente, per "tutti i piccoli appezzamenti non raggruppabili in unita' agrarie" (art. 7, comma primo, della legge n. 1766/1927 cit.), la liquidazione degli usi civici in denaro o, come si dice, mediante imposizione di canone. Per quanto non rigidamente determinati dalla legge nella loro estensione, debbono ritenersi piccoli appezzamenti "non raggruppabili in unita' agrarie" tutti quei terreni, che - da soli, o riuniti con quelli viciniori - non consentono per le loro dimensioni una gestione agraristica sufficientemente economica e remunerativa. Il concetto e' molto elastico e puo' trovare applicazioni diverse in varie epoche storiche; in particolare, esso si avvicina, ma non si identifica a quello della minima unita' colturale, consacrato dal codice civile e, infatti, si applica de plano, oggi, anche a quei terreni che, per le trasformazioni edilizie o urbanistiche da cui sono stati investiti, non sono piu' ragionevolmente convertibili alla produzione agraria, a patto, che si tratti di piccoli appezzamenti, cioe' di terreni insuscettibili, ove per ipotesi ricondotti all'uso agrario, di qualche apprezzabile rendimento. La superficie dei terreni oggetto della presente causa e' di soli 11.270 mq (cfr. relazione Randolfi e relazione Benedetti); che essi vadano esenti da ogni divisione e che il corrispettivo degli usi civici da liquidare vada stabilito in denaro, appare ictu oculi dalle stesse loro ridotte dimensioni ed e', del resto, opinione condivisa da tutti, anche dalla regione Lazio. Le opinioni divergono nuovamente, tuttavia, in punto di determinazione del corrispettivo pecuniario della liquidazione. Secondo l'art. 7, comma primo, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, infatti, i piccoli appezzamenti insuscettibili di utilizzi agrari e gli altri terreni esenti dalla divisione, saranno ( ..) gravati da un annuo canone di natura enfiteutica ( ..), in misura corrispondente al valore dei diritti, da stabilirsi con perizia ( ..) ; al contrario, secondo l'art. 4, legge regionale Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, allorche' si procede alla liquidazione degli usi civici, le zone gravate di uso civico ( ..) sono stimate secondo il loro valore attuale, tenuto conto anche dell'incremento di valore che esse hanno conseguito per effetto della destinazione o delle aspettative edificatorie. V'e' tra le due disposizioni un'evidente contrasto, che viene esaltato, come presto si vedra', dalla prassi amministrativa; una cosa, infatti, e' "il valore dei diritti", cioe' le modeste somme corrispondenti alla capitalizzazione dei ricavi netti, o carattere agraristico, derivanti per es. dalla vendita del fieno o della legna, una cosa ben diversa e' "il valore delle zone gravate", comprensivo della rendita derivante dalla intervenuta o sperata urbanizzazione, come il mercato lo determina. Va osservato che la normativa regionale, nel prescrivere il riferimento al valore delle aree, non dice in che misura questo vada ripartito tra il titolare del diritto di proprieta' e i titolari dei diritti civici. Nella prassi, come risulta anche dalla perizia Randolfi, si procede in primo luogo a determinare il valore di mercato dell'intero terreno gravato (nel nostro caso, L. 12.000 a mq, per 5.700 mq, pari a L. 68.400.000 complessive); si indica poi la quota da assegnare, fittiziamente, alla popolazione, a compenso degli usi civici liquidati (nel nostro caso, 1/6 del terreno gravato, pari a mq 950); in terzo luogo, con una semplice moltiplicazione, si calcola il controvalore monetario di questa quota (nel caso di specie, L. 11.400.000); infine, in ragione dell'interesse legale sul valore della quota, si determina l'ammontare dell'annuo canone enfiteutico, da pagare fino alla affrancazione definitiva (nel caso di specie, L. 570.000). 2.4. - La regola regionale prescrive come, in caso di liquidazione degli usi civici, vada determinato il valore delle aree gravate, non dice espressamente che il corrispettivo della liquidazione debba essere necessariamente e prioritariamente commisurato a tal valore, invece che a quello dei diritti da liquidare; in breve, essa non dice espressamente cio' che vi legge la prassi amministrativa. Poiche' questa non puo' assumere valenza normativa senza o contro la volonta' del legislatore, si potrebbe ritenere - e il giudicante altrove ha ritenuto: vedi sentenza in proc. n. 138/1993, per Monterotondo, agli atti - che quella regola non e' destinata a trovare applicazione, quando, come nel caso di specie, il corrispettivo della liquidazione vada stabilito, per volonta' della legge dello Stato, in misura pari, non al valore delle aree gravate, ma al valore dei diritti. In tale ipotesi interpretativa, tuttavia, resterebbe da spiegare quando e come vada applicata la regola diversa, posta dall'art. 4 della legge regionale Lazio 3 gennaio 1986, n. 1. Ora, se non andiamo errati, non esiste neppure un caso in cui, nel procedimento per la liquidazione dei diritti civici, possa o debba aversi riguardo al valore delle terre, invece che a quello degli usi da liquidare. Per la legge nazionale, infatti, anche nel caso di liquidazione degli usi civici per scorporo, l'estensione delle quote da assegnare alla popolazione va determinata in primo luogo in rapporto al tipo e al valore dei diritti civici; per esempio, per i diritti essenziali, essa dovra' essere compresa tra un ottavo e la meta' del fondo gravato (art. 5, comma secondo, della legge n. 1766/1927), ma potra' essere ulteriormente ridotta allorche' si tratti di un solo diritto, che a giudizio del commissario sia di tenue entita' ( ..) (art. 5, comma quinto, della legge n. 1766). In altri termini, secondo la legislazione nazionale, anche in caso di liquidazione in natura o per scorporo, l'ammontare del corrispettivo deve essere prioritariamente determinato, sia pure in modo forfettario e con criteri di larga massima, in misura proporzionale al valore dei diritti; solo in via subordinata, si potra' tenere conto del valore delle terre da assegnare (art. 6, comma primo, della legge n. 1766/1927), con la conseguenza che, in questo caso, per il reciproco intreccio dei due criteri, quanto piu' sara' elevato il valore della terre per unita' di superficie, tanto piu' dovra' diminuire l'estensione della quota da scorporare. Secondo la prassi applicativa in uso nella regione Lazio, al contrario, l'estensione della quota di scorporo e' la variabile indipendente, da determinare in via equitativa, cioe' in modo assolutamente discrezionale o al massimo in analogia a precedenti valutazioni per la liquidazione degli usi civici (cfr. perizia Randolfi, pag. 6); a tale quota puo' essere sostituito il suo equivalente monetario, calcolato in ragione dei diversi valori del suolo e del diverso impatto della rendita edilizia; nessuna considerazione e' prescritta, in ogni caso, per il valore dei diritti. Quale che sia stata l'intenzione del legislatore regionale, tale prassi si adegua nelle linee sostanziali al dettato dell'art. 4 della legge regionale n. 1/1986 e trova in questo il suo fondamento, colmandone le lacune applicative; essa, in altri termini, ha un valore ermeneutico privilegiato, mostrando quale sia, nel diritto vivente, il contenuto normativo assegnato alla norma in esame. E' del tutto evidente, d'altra parte, che la disciplina in tal modo posta e applicata non e' affatto integrativa, ma sostitutiva di quella dettata dalla legge nazionale; essa non puo', dunque, essere disapplicata, limitandone il campo di applicazione per modum interpretationis, perche' tale interpretazione restrittiva si risolverebbe in realta' nella sua abrogazione, che non e' consentita al giudicante. 2.5. - Conviene dunque esaminare se la normativa regionale, in materia di determinazione dei corrispettivi di liquidazione degli usi civici, quale risulta dall'art. 4 della legge regionale n. 1/1986 e dalla prassi teste' descritta, non contrasti per avventura con i principi della Carta costituzionale. Dalle stesse considerazioni svolte al punto precedente risulta all'evidenza come la regola regionale si ponga in contrasto con i diversi principi stabiliti dalla legge dello Stato e dunque, indirettamente, con l'art. 117, comma secondo, della Costituzione italiana; tale preliminare conclusione, tuttavia, va meglio argomentata in relazione al carattere fondamentale della disciplina stabilita dalla normativa nazionale. Questo carattere emerge indirettamente dagli altri profili di illegittimita' costituzionale, che la disciplina impugnata presenta, per contrasto con gli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione. 2.5.1. - Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione deriva dal fatto che, secondo la normativa regionale, il medesimo diritto civico dovrebbe essere compensato in maniera profondamente diversa da zona a zona, non in ragione della diversa produttivita' dei suoli o della diversa quantita' del raccolto prevedibile, cioe' per ragioni intrinseche al contenuto del diritto, ma in ragione di un fattore esterno al diritto stesso, come l'intervenuta o sperata urbanizzazione. Il diritto civico viene in tal modo sradicato dalla sua funzione agraristica, e trasformato in una quota astratta del valore complessivo delle terre, della quale vengono contraddittoriamente riaffermate inalienabilita' e imprescrittibilita', nel momento stesso in cui essa forma oggetto di un'alienazione amministrata; il diritto civico viene soprattutto a perdere, cosi', ogni carattere di diritto reale sulla terra ed e' trasformato in un diritto di prelievo monetario, il cui ammontare e' rimesso alla discrezionale determinazione dell'amministrazione competente, entro il limite, a sua volta ampiamente discrezionale, del valore di stima dell'intero territorio gravato. Si consideri che l'amministrazione procedente ha il potere discrezionale di stabilire quando ricorrano i presupposti per la liquidazione in denaro o, in alternativa, i presupposti per la liquidazione mediante scorporo e, per converso, almeno in Lazio, il potere di riconoscere l'intero terreno gravato alla comunita' locale, imponendo a questa un canone in favore del proprietario (c.d affrancazione inversa; cfr. art. 7, comma secondo, della legge n. 1766/1927); si comprende allora perche' il "gravame" di uso civico, cioe' l'onere reale o pecuniario da sopportare per la sua liquidazione, sia cosi' temuto. Esso, nella prassi amministrativa seguita al d.P.R. n. 616 del 1977 e nella legislazione regionale d'attuazione, come quella che qui si esamina, non tiene nessuno dei caratteri fondamentali del diritto soggettivo, il quale in primo luogo deve veder segnati obbiettivamente i propri limiti in rapporto ai diritti altrui. Per gli usi civici, invece, questi limiti vengono stabiliti, in via amministrativa, al momento della loro liquidazione; alla massima discrezionalita' amministrativa, quale risulta dal sistema della legge regionale Lazio n. 1/1986, corrisponde negli interessati non un diritto di contenuto certo e confrontabile con diritti analoghi, ma una soggezione dal contenuto variabile e suscettibile delle piu' diverse forme di contrattazione. La lesione del principio di eguaglianza assume dunque, nel caso di specie, anche la implicita connotazione di negazione della struttura tipica del diritto civico, che non puo' esser confidato, neppure per la determinazione del suo contenuto pecuniario, alla pura e aleatoria discrezionolita' di un organo amministrativo. 2.5.2. - Al contrario, il contenuto del diritto civico va ricollegato alla riconosciuta facolta' per un determinato gruppo di persone di prelevare dalla terra altrui particolari frutti o utilita', variamente esemplificati dall'art. 5 della legge n. 1766/1927, ma sempre in qualche modo oggettivamente determinati o determinabili nello loro consistenza e nel loro valore. Ora, come abbiamo visto, la disciplina regionale finisce per attribuire una parte della rendita urbana alla collettivita' degli utenti civici, senza che cio' sia giustificato dal contenuto e dalla struttura del diritto in questione; dunque, essa confisca tale quota della rendita al proprietario delle terre gravate, senza indennizzo alcuno e senza valide ragioni di utilita' generale, ponendosi pertanto in contrasto anche con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Sul punto non sono necessarie altre considerazioni in diritto, ma puo' essere utile un raffronto in fatto tra il corrispettivo liquidato dalla perizia opposta, in base ad una stima del valore di mercato del terreno gravato - dunque, in forza dei criteri stabiliti dall'art. 4 della legge regionale n. 1/1986 -, con quello liquidato (vedi sentenza in proc. n. 138/1993, per Monterotondo, in atti), in base ad una stima del diritto oggetto della liquidazione, dunque, ai sensi dell'art. 7, comma primo, della legge n. 1766/1927. Quest'ultimo risulta dalla capitalizzazione al 5% annuo del prezzo del pascolo ricavabile ogni anno da un ettaro di terra, detratte le spese; esso, secondo la perizia richiamata dalla sentenza citata, ammonta a L. 2.679.760 per ettaro ed e' rapportabile, da un lato, al valore di mercato di un quintale di fieno, dall'altro, alla produttivita' annua media del terreno considerato. Al contrario, secondo il criterio di cui all'art. 4 della legge regione Lazio n. 1/1986, come applicato nella prassi amministrativa, si parte dalla destinazione urbanistica del terreno considerato e dalla volumetria su di esso edificabile in base agli indici di piano; se ne stabilisce poi, con un generico riferimento alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell'immobile e alle valutazioni gia' espresse in passato dall'ufficio procedente, il valore di mercato (L. 12.000 al mq); si determina, senza alcuna giustificazione e senza alcun riferimento al valore del diritto collettivo da liquidare, la porzione di terreno pertinente alla popolazione (1/6 del totale); si calcola infine il capitale di affranco e il canone annuo relativi o tale quota. Per un'area gravata dell'estensione di quella dei signori Trasatti (mq 5.700), a parita' di ogni altra variabile, risulterebbe pertanto, alla stregua della prima valutazione, un capitale di affranco di L. 1.527.463, alla stregua della seconda, un capitale di affranco di L. 11.400.000 (oltre sette volte tanto), con una confisca ingiustificata della rendita urbana pari alla differenza tra i due valori. Alla luce di questa differenza, destinata ad aumentare imprevedibilmente a seconda dei casi e delle opportunita', si comprende meglio per qual ragione la regione si attesti nell'applicazione di una regola, che appare in contrasto con alcuni principi fondamentali della Costituzione e, dunque, anche con i principi fondamentali della legge dello Stato regolatrice dello materia. Un'ultima considerazione, non del tutto marginale. Il tecnico incaricato della perizia amministrativa non e' un dipendente regionale, ma un professionista iscritto all'albo dei periti demaniali; quella differenza e' destinata pertanto a ripercuotersi anche sui suoi compensi. 2.6. - La rilevanza della prospettata questione e' di tutta evidenza: premesso che i terreni dei Trasatti si assumono gravati da uso civico di pascolo annuale (relazione CTU Benedetti, pag. 7, concl.), in tanto il giudicante potra' disapplicare la delibera della giunta regionale, che liquida quei diritti sulla base del valore di mercato dei suoli gravati, in quanto venga rimossa la normativa regionale che impone tale criterio di liquidazione; in tanto egli potra' provvedere alla nuova liquidazione sulla base del valore degli usi da liquidare, in quanto per essa possa farsi esclusivo riferimento ai criteri stabiliti dalla normativa statuale piu' volte richiamata, l'art. 7, comma primo, della legge n. 1766/1927.